giovedì 31 ottobre 2013

... PARLANDO DI FIORI

Da dove arriva l'usanza di portare i fiori ai defunti?



Già gli antichi Egizi colmano di fiori i loro defunti: mentre con le ninfee ornano le pareti delle tombe, mettono i narcisi accanto al morto. Infatti, moltissimi di questi fiori sono stati trovati nelle tombe, risalenti a più di tremila anni fa, in ottimo stato di conservazione. Fatti sia in occasione dei funerali che in momenti successivi, gli omaggi floreali sono documentati anche nella Grecia antica, civiltà che crede che il regno dei morti sia coperto di asfodeli, piante perenni che crescono dal mare sino ai 1200 metri, alte fino a un metro. Essendo così il simbolo dei defunti, vengono usate per adornare le tombe.
fiori di Asfodeli
In questo mondo c'è ancora 
un'altra pianta legata ai defunti: il mirto, il cui nome deriva da Mirsine e da Myrtila, personaggi mitologici. Secondo 
la leggenda, infatti, mentre il fiore nasce dal corpo della giovane ninfa Mirsine, abilissima nella caccia, che muore ammazzata dai maschi gelosi della sua bravura, il frutto nasce dal corpo di Myrtila, giovane profetessa uccisa per avere sbagliato oracolo. È da queste funeste vicende che nasce dunque l'usanza di considerare il mirto pianta dei defunti. In modo particolare delle anime dei defunti per amore che, secondo i Greci, sostano in boschi perennemente fioriti di mirto.
fiori di Mirto
In occasione della morte, nella Roma antica, il defunto 
viene disteso su un letto di fiori. Quindi, come i parenti rinnovano in perpetuo per lui sulla tomba l'offerta di alimenti, così devono continuare a spargere di fiori freschi nel medesimo luogo. Ghirlande e corone, infatti, non sono solo gradite al defunto, ma servono anche a rianimarlo. 
I Romani prediligono fiori rossi che secondo lo scrittore Servio, noto commentatore dell'Eneide richiamando il colore del sangue, sono destinati a rinvigorire l'ombra del defunto, ormai priva del liquido vitale. Spesso depongono anche i crochi, usati anche durante le cerimonie religiose come segno di buon augurio: infatti questi fiori rappresentano per loro la speranza per la vita ultraterrena. Tutti gli anni, dal 13 al 21 febbraio, in onore dei morti, i Romani celebrano poi i "Parentalia", giornate in cui si portano sulle tombe, oltre alle corone di fiori, farina di farro con grano inzuppato nel riso. Il 22 marzo, invece, vengono portati sui sepolcri le viole: è questo il giorno della festa di Attis, dio bellissimo della mitologia della Frigia, regione dell'Anatolia centrale, che impersona la natura che muore e rinasce.
Attis e Cibele
In questa circostanza, un pino che rappresenta il dio morto e inghirlandato di viole che, secondo la leggenda, sono nate proprio dal suo sangue, viene portato sul tempio del colle Palatino: di seguito, le famiglie portano ai loro defunti questi fiori che, con il loro colore, richiamano il sangue divino e sono ritenuti indispensabili per far rinascere la vegetazione dopo la pausa invernale.

fiori di Viole
Presso i Romani, si trovano ancora due particolari occasioni per le offerte di fiori: sono feste private, in cui anche i partecipanti al banchetto in onore del morto ricevono omaggi floreali. Si tratta dei "Rosalia", che cadono in maggio o in giugno, in corrispondenza della primavera, e dei "Violaria", che hanno luogo nello stesso periodo. Se nella prima ricorrenza sono profuse rose sulle tombe e sul tavolo del banchetto, nella seconda si spargono nuovamente violette sui sepolcri, stavolta illuminate anche da lampade.

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